Riguardo alle carni sacrificate agli idoli, so che tutti ne abbiamo conoscenza. Ma la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica. Se qualcuno crede di conoscere qualcosa, non ha ancora imparato come bisogna conoscere. Chi invece ama Dio, è da lui conosciuto. Riguardo dunque al mangiare le carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che non esiste al mondo alcun idolo e che non c’è alcun dio, se non uno solo. In realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo che sulla terra – e difatti ci sono molti dèi e molti signori –, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui.Ma non tutti hanno la conoscenza; alcuni, fino ad ora abituati agli idoli, mangiano le carni come se fossero sacrificate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com’è, resta contaminata. Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio: se non ne mangiamo, non veniamo a mancare di qualcosa; se ne mangiamo, non ne abbiamo un vantaggio. Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la conoscenza, stare a tavola in un tempio di idoli, la coscienza di quest’uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni sacrificate agli idoli? Ed ecco, per la tua conoscenza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello.(1 Corinzi 8, 1-13)
Si ha il diritto di mangiare la carne offerta in sacrificio agli idoli? La città di Corinto era particolarmente pagana e i templi erano numerosi. Si offriva carne agli dèi, che veniva poi consumata durante i pasti festivi o venduta al mercato. Che si trattasse di un pranzo di lavoro con partner non cristiani o di una festa popolare, le occasioni per mangiare questa carne non mancavano. Poteva anche essere vantaggioso per i cristiani più ricchi e influenti non mettere in pericolo i loro rapporti con l’alta società con il pretesto del rigore religioso.
Questi cristiani potevano basarsi anche su un principio semplice: c’è un solo Dio, la carne offerta agli idoli ha nessun significato. Riconoscere una particolare qualità in questa carne sarebbe equivalso concedere potere alle false divinità dei Greci e dei Romani, e sarebbe stato un grave errore.
Paolo conferma la validità di questo ragionamento in una lunga filippica. Tuttavia, tra due argomenti che danno ragione a coloro che gli scrivono, fa un’osservazione: per alcuni cristiani, questa verità incontestabile non è evidente. A causa della fragilità della loro conoscenza e della loro fede, conferiscono a questa carne un potere che essa non ha.
La conoscenza del forte può far cadere il debole che Cristo ha rimesso in piedi con la risurrezione e con il quale egli si è identificato mediante la croce. Una scelta etica guidata solo dalla conoscenza – anche corretta! – conduce così al peccato contro Cristo. Con la sua morte, Cristo si è abbassato a livello dei deboli e con la sua risurrezione ha conferito loro una dignità incommensurabile. Inoltre, facendosi fratello di tutta l’umanità, ci ha resi tutti fratelli e sorelle gli uni degli altri. È per questi motivi che chiunque faccia inciampare il debole, che sia fratello o sorella, fa esattamente l’opposto di ciò che ha fatto Gesù sulla croce, anche se tecnicamente ha ragione.
La risposta era già nel primo versetto del capitolo: la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica. Quando si tratta di vivere insieme come cristiani, l’amore dei fratelli e delle sorelle più deboli è il fondamento più stabile e più sano di ogni conoscenza. Certo, Paolo non disprezza affatto la conoscenza in materia di fede. Loda la conoscenza dei Corinzi (1,5) e sa bene che questa può “edificare” la comunità (cfr. cap. 14). Inoltre, se Paolo avesse disprezzato la conoscenza, avrebbe speso così tante energie per insegnare? Il problema non è mai la conoscenza in quanto tale, ma l’illusione di potersi liberare dall’amore in suo nome (13,2). Perché in fondo è l’amore che conta, che rimane (13, 13). Ogni atto d’amore che compiamo seguendo Cristo è eterno e sarà conservato, perché è un riflesso dell’Amore perfetto che Cristo ha mostrato sulla croce.
Sono d’accordo con il ragionamento di Paolo? Perché lo sono o perché non lo sono?
In quali situazioni oggi rischiamo di creare divisioni con la nostra insistenza nel voler avere ragione a tutti i costi? Come coniugare la ricerca della verità con l’apertura verso chi ha punti di vista diversi da noi e la preoccupazione per i più deboli?
In che modo l’esempio di Cristo crocifisso ci aiuta ad essere artefici di unità?