Frère Alois
2009 Lettera dal Kenia
Dovunque nel mondo, la società ed i comportamenti si modificano rapidamente. Prodigiose possibilità di sviluppo si moltiplicano, ma compaiono anche delle instabilità e, di fronte all’avvenire, si accentuano le inquietudini. [1] Affinché il progresso tecnico ed economico vada di pari passo con una maggiore umanità, è indispensabile cercare un senso più profondo dell’esistenza. Di fronte allo sconforto ed allo smarrimento di molti, emerge una domanda: qual è la nostra sorgente di vita ? Alcuni secoli prima di Cristo, il profeta Isaia già indicava una sorgente quando scriveva: «Quanti sperano nel Signore riacquistano la forza, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi.» [2] Molte più persone, rispetto al passato, non trovano questa sorgente. Anche il nome di Dio è caricato di ambiguità o del tutto dimenticato. Può esserci un legame fra questa rimozione della fede e la perdita del gusto di vivere? Allora la sorgente ricomincia a scorrere e la nostra vita acquista senso. Diventiamo capaci di farci carico della nostra esistenza: riceverla come un dono e donarla a nostra volta per coloro che ci sono affidati. Anche con una fede piccolissima si realizza un ribaltamento: non viviamo più centrati su noi stessi. Aprendo a Dio le porte del nostro cuore, prepariamo anche la strada della sua venuta per molti altri. Farci carico della nostra esistenzaSì, Dio è presente in ciascuno, credente o non credente. Fin dalla sua prima pagina, la Bibbia descrive con grande bellezza poetica il dono del suo soffio di vita che Dio fa ad ogni essere umano. [3] Attraverso la sua presenza sulla terra, Gesù ha rivelato l’amore infinito di Dio per ciascuna persona. Donandosi fino in fondo, ha scritto il sì di Dio nel più profondo della condizione umana. [4] Dopo la resurrezione di Cristo, non possiamo più disperarci del mondo e di noi stessi. Da allora, il soffio di Dio, lo Spirito Santo, ci è stato donato per sempre. [5] Con il suo Spirito che abita i nostri cuori, Dio dice sì a ciò che noi siamo. Non ci stanchiamo mai di ascoltare queste parole del profeta Isaia: «Il Signore si compiacerà in te e la tua terra avrà uno sposo.» [6] Acconsentiamo dunque ciò che siamo o che non siamo, giungendo anche ad accogliere tutto ciò che non abbiamo scelto e che tuttavia ha un peso nella nostra vita. [7] Osiamo creare anche partendo da ciò che non è perfetto. Troveremo una libertà. Se pure caricati da fardelli, riceveremo la nostra vita come un dono ed ogni giorno come un oggi di Dio. [8] Trascinati ad andare oltreSe Dio è in noi, egli è anche davanti a noi. [9] Ci accetta tali e quali noi siamo, ma anche ci fa uscire da noi stessi. Viene talvolta a turbare la nostra esistenza, sconvolgendo i nostri piani ed i nostri progetti. [10] La vita di Gesù ci trascina ad entrare in questa prospettiva. Gesù si lasciò condurre dallo Spirito Santo. Non smise di fare riferimento alla presenza invisibile di Dio, suo Padre. È questo il fondamento della sua libertà, ciò che lo ha portato a dare la sua vita per amore. In lui, relazione con Dio e libertà non sono mai opposte ma si rinforzano vicendevolmente. [11] In tutti noi c’è il desiderio di un assoluto verso il quale tendiamo con tutto il nostro essere, corpo, anima, intelligenza. Una sete di amore brucia in ciascuno, dal lattante fino alla persona anziana. Anche l’intimità umana più grande non può appagarla completamente. Queste aspirazioni, le sentiamo spesso come delle mancanze o come un vuoto. Esse rischiano talvolta di disperderci. Ma lungi dall’essere un’anomalia, esse fanno parte della nostra persona. Sono un dono e contengono già l’invito di Dio all’apertura di noi stessi. Allora ciascuno è chiamato ad interrogarsi: in questo momento, che cosa mi viene richiesto di superare? Non si tratta necessariamente di «fare di più». Ciò a cui siamo chiamati è amare di più. E siccome l’amore ha bisogno di tutto il nostro essere per esprimersi, sta a noi cercare, senza attendere un minuto di più, come essere attenti al nostro prossimo. Il poco che possiamo, dobbiamo farloSostenersi reciprocamente per approfondire la fedeTroppi giovani si sentono soli nel loro cammino interiore. In due o tre è già possibile sostenersi, condividere e pregare insieme, anche con chi dice di essere più vicini al dubbio che alla fede. [12] Una tale condivisione trova un grande appoggio se integrata nella Chiesa locale. [13] Essa è la comunità delle comunità, dove tutte le generazioni si ritrovano e dove non ci si sceglie. La Chiesa è la famiglia di Dio: quella comunione che ci porta fuori dall’isolamento. In essa siamo accolti, in essa è reso attuale il sì di Dio alla nostra vita e troviamo l’indispensabile consolazione di Dio. [14] Se le parrocchie e i gruppi di giovani fossero innanzitutto dei luoghi di bontà del cuore e di fiducia, dei posti accoglienti dove essere attenti ai più deboli! Andare oltre l’incomunicabilità delle nostre societàPer partecipare alla costruzione di una famiglia umana più unita, una delle urgenze non è forse di guardare il mondo «a partire dal basso»? [15] Questo sguardo implica una grande semplicità di vita. Le comunicazioni diventano sempre più facili ma allo stesso tempo le società restano divise in compartimenti stagni. Il rischio dell’indifferenza reciproca non cessa di aumentare. Andiamo oltre l’incomunicabilità delle nostre società! Andiamo verso coloro che soffrono! Andiamo a visitare coloro che sono emarginati, maltrattati! Pensiamo agli immigrati, così vicini e tuttavia spesso così lontani! [16] Là dove la sofferenza aumenta, vediamo frequentemente moltiplicarsi progetti concreti che sono altrettanti segni di speranza. Per lottare contro le ingiustizie, le minacce di conflitti, e favorire una condivisione dei beni materiali, è indispensabile acquisire competenza. La perseveranza negli studi o in una formazione professionale può anche essere un servizio reso agli altri. Se ci sono povertà ed ingiustizie scandalose che saltano agli occhi, ci sono delle povertà meno visibili. Una di queste è la solitudine. [17] Pregiudizi e malintesi sono talvolta trasmessi di generazione in generazione e possono portare ad atti di violenza. Ci sono anche forme di violenza apparentemente innocue, ma che causano danni ed umiliazioni. La presa in giro è una di queste. [18] Dovunque noi siamo, cerchiamo, soli o insieme, quale gesto compiere nelle situazioni di sofferenza. Scopriremo così la presenza di Cristo anche laddove non ce la saremmo mai aspettata. Risorto, egli è là, in mezzo agli esseri umani. Ci precede sul cammino della compassione. E già, con lo Spirito santo, rinnova la faccia della terra. [1] In numerosi paesi, nonostante la crescita mondiale e le speranze di sviluppo, le bidonville si allargano anziché diminuire e la disoccupazione colpisce duramente, in particolare i giovani. In Africa, la rapidità del progresso tecnico rischia di soffocare il senso di maturazioni lente, così fecondo nella vita tradizionale. D’altro canto, la solidarietà familiare ed etnica si affievolisce. Come ridare vita a questo valore ed allargarlo al di là dei confini della famiglia o del gruppo etnico? Ciò potrebbe contribuire a diminuire le partenze di tanti giovani, attirati dai paesi con livelli di vita maggiormente sviluppati, senza poter sempre misurare le conseguenze di tale decisione. [2] Isaia 40,31. Già ai tempi in cui queste parole vennero dette, lo sconforto era una realtà: «Io ho risposto: invano ho faticato; per nulla e invano ho consumato le mie forze.» (Isaia 49,4) E ancora: «Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono.» (Isaia 40,30) Ma il profeta riaccende la speranza: «Dio eterno è il Signore, egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore dello spossato.» (Isaia 40,28-29) [3] È vero che molti ostacoli minacciano di soffocare la vita: le ingiustizie, la violenza intorno a noi e in noi, lo spirito di competizione, i nostri errori, la paura o una certa chiusura di fronte a chi è diverso, la mancanza di autostima… [4] In vaste parti dell’Africa, per esempio presso i cristiani Masai, Cristo è visto come il fratello maggiore. Ciò si collega con l’espressione dei primi cristiani: Cristo è «il primogenito fra molti fratelli e sorelle» (Romani 8,29). Con la sua morte e la sua resurrezione, Gesù trascende le solidarietà familiari ed etniche (vedi Colossesi 1,18-20). [5] Nelle lingue bibliche, «soffio» e «spirito» sono una sola ed unica parola. I profeti hanno annunciato che, attraverso lo Spirito Santo, Dio abiterà l’essere umano (Ezechiele 36.26-27). Con la venuta di Cristo, con la sua morte e la sua resurrezione, lo Spirito Santo e donato «senza misura» (Giovanni 3,34). Da allora il Soffio di Dio è continuamente attivo nell’umanità, affinché un giorno essa sia un solo Corpo in Cristo. [6] Isaia 62, 1-4. [7] Farsi carico delle realtà del presente non significa accettare tutto o subire passivamente gli avvenimenti. Talvolta succede di resistere a una situazione di ingiustizia o denunciarla. [8] Uno dei primi libri di frère Roger aveva come titolo Vivere l’oggi di Dio (1958). Frère Roger era convinto dell’importanza per i credenti di essere del tutto presenti nella società attuale, piuttosto che compiacersi nella nostalgia del passato o fuggire verso un avvenire illusorio. È solo nel momento presente che possiamo incontrare Dio e vivere di lui. [9] Un cristiano africano, sant’Agostino, scriveva questa preghiera nel IV secolo: «E tu eri più dentro in me della mia parte più interna e più alto della mia parte più alta.» (Le Confessioni, Libro III,6,11) [10] «I miei pensieri non sono i vostri pensieri», dice il Signore (Isaia 55,8). Anche la Vergine Maria ha consentito nell’andare oltre, fino alla incomprensibile morte di suo figlio, credendo pienamente nella fedeltà di Dio alla sua promessa di vita. [11] Durante il Sinodo dei Vescovi ad ottobre 2008 a Roma, il cardinal Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, ha dichiarato: «La forza della parola implica la libertà della risposta di chi ascolta. È precisamente la potenza insita alla Parola di Dio. Non elimina la libertà di chi ascolta, ne diventa il fondamento» [12] Gesù disse: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.» (Matteo 18,20) [13] I primi cristiani «erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (Atti 2,42). In Africa, come in America Latina ed in certi paesi dell’Asia, i cristiani si riuniscono non solo nelle parrocchie, ma anche per quartiere, per villaggio, in piccole comunità ecclesiali. Pregano insieme e si sostengono mutuamente. C’è un calore umano ed un impegno personale di ciascuno che contribuisce a fare della Chiesa un autentico luogo di comunione. [14] In Africa, la Chiesa è spesso vista come la famiglia di Dio, e Dio come una madre che consola. Già il profeta Isaia scriveva: «Come una madre consola un figlio così io vi consolerò.» (Isaia 66,13) Vedi anche Isaia 49,13-15. Considerare la Chiesa con questo sguardo stimola a ricercare la sua unità. Non possiamo rassegnarci passivamente al fatto che la famiglia di Dio resti divisa in molteplici confessioni. [15] Il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer apparteneva ad un ambiente piuttosto privilegiato ma, durante la seconda guerra mondiale, il suo impegno nella resistenza lo gettò nella precarietà, fu poi condotto in carcere ed alla morte…Egli scrisse nel 1943: «Rimane un’esperienza di valore incomparabile, l’aver imparato a vedere i grandi avvenimenti della storia mondiale dal basso, dalla prospettiva di quelli che sono esclusi, guardati con sospetto, maltrattati, senza potere, oppressi e rigettati, in breve quelli che soffrono.» [16] Se, fortunatamente, oggi si stanno facendo alcuni sforzi per sostenere culture che rischiano di scomparire, è vero che nessuna cultura si sviluppa sotto una campana di vetro. Nel momento della mondializzazione, l’incrocio delle cultura non è solo inevitabile, è anzi una buona carta da giocare per la nostra società. [17] Un proverbio del Kenya lo ricorda: «Non c’è uomo che non possa diventare orfano.» [18] Frère Roger scriveva ne La Regola di Taizé (1954): «La presa in giro, questo veleno della vita comune, è perfida perché attraverso di essa vegnono lanciate delle cosidette verità che non si osano dire faccia a faccia. Essa è vile perché rovina la persona di un fratello di fronte agli altri.» |