TAIZÉ

Testo biblico con commento

 
Queste meditazioni bibliche mensili sono proposte per sostenere una ricerca di Dio nel silenzio e nella preghiera, anche nella vita quotidiana. Si tratta di prendere un’ora per leggere in silenzio il testo biblico suggerito, accompagnato dal breve commento e dalle domande. Ci si riunisce poi in piccoli gruppi, da 3 a 10 persone, a casa di uno dei partecipanti o in chiesa, per un breve scambio su ciò che ognuno ha scoperto, con eventualmente un momento di preghiera.

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2009

Maggio

Salmo 63: Abbondanza nel deserto
O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
 
Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
 
Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.
 
Ma quelli che attentano alla mia vita
scenderanno nel profondo della terra,
saranno dati in potere alla spada,
diverranno preda di sciacalli.
Il re gioirà in Dio,
si glorierà chi giura per lui,
perché ai mentitori verrà chiusa la bocca.
(Salmo 63)

Ogni essere umano sembra essere lavorato sino all’estremo da un desiderio d’assoluto che nulla può completamente appagare. Questa sete scava in noi un vuoto che siamo tentati di riempire con quanto abbiamo sottomano. È forse per paura di questo vuoto che arriviamo ad intossicarci con troppe cose.

Rifare l’esperienza del salmista nel deserto, riscoprire che Dio è colui che suscita sete è forse una delle più grandi urgenze del momento. «La mia anima ha sete di te». In ebraico anima si dice nefesh, gola. L’anima in noi è ciò che attende di ricevere il soffio di vita, la ruah. L’anima è dunque l’appetito di vita, la gola spalancata in attesa. È paradossale che un popolo che ha passato circa quarant’anni nel deserto e che ha dovuto fare un’esperienza della sete assai dolorosa abbia mantenuto lo stesso vocabolario per descrivere la ricerca di Dio. E pertanto, Dio si lascia cercare nell’esperienza di vuoto.

Per grande fortuna, l’insoddisfazione conduce anche ad altra cosa: il vuoto si riempie della visione, della contemplazione, «Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria». Perché Davide nel deserto parla ora del santuario: nostalgia di un tempo passato dove era tranquillo meditare nella casa di Dio? O visione della fede per la quale il deserto stesso diventa luogo della presenza di Dio? Questa seconda interpretazione apre delle prospettive interessanti: «gloria» di dice kabod in ebraico, che si traduce anche con «abbondanza». Nel deserto, anche se ho veramente sete, ho trovato la tua abbondanza!

Questa «abbondanza» passa attraverso la lode che riempie la bocca del salmista: letteralmente «labbra di gioia, lode di bocca». Il doppio plurale dell’inizio versetto segna ancor più il sentimento di ricevere la vita in proporzioni generose. Che contrasto tra questo versetto e l’inizio della supplica! Come la siccità e la non fertilità hanno potuto trasformarsi così?

Forse grazie a questo versetto intermediario: «Così ti benedirò finché io viva». Benedire significa trasmettere la vita. Altrimenti detto: con la mia vita (ben vivente!), ti renderò la vita che tu mi hai donata. Fare l’esperienza della propria vulnerabilità, della condizione fragile dell’essere umano, lascia posto a ricevere il dono della vita per poi trasmetterlo a nostra volta. È tutto lo scambio che si realizza nella preghiera: ti restituisco quel che ho ricevuto da te, e ne sono contento!

Dopo aver sperimentato l’abbondanza di Dio nel bel mezzo del deserto, il salmista si espone in una lode commovente, dove si succedono immagini materne che sottolineano la tenerezza del «suo Dio»: «A te si stringe l’anima mia», sei tu che mi precedi, sei tu che affronti il pericolo per me. «Esulto di gioia all’ombra delle tue ali», «a te che sei stato il mio aiuto». «Aiuto» è una bellissima parola: è quella che descrive il ruolo di Eva accanto ad Adamo; è quella che Gesù ha dovuto usare dicendo ai suoi discepoli: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Giovanni 14,16).

In questo contesto che sembrava ormai rasserenato, perché terminare con l’evocazione così dura dei nemici e dei mentitori? La Bibbia ha l’onestà di non dimenticare mai che viviamo in un mondo dove le tenebre e la luce coabitano. Questa libertà di tono verso Dio è essenziale affinché la preghiera sia vera. In Dio c’è posto per ricevere tutto, l’orecchio di Dio non ha paura d’ascoltare persino le parole violente. Tocca allo Spirito Santo, con un paziente lavoro che sfocerà nella dolcezza del Nuovo Testamento, trasformare l’ardore dell’imprecazione in perdono.

- Ho già fatto l’esperienza di un vuoto interiore? È stata positiva o negativa?

- L’insoddisfazione e la lode possono coabitare?

- «Trovare l’abbondanza nel deserto»: mi è già capitato?



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Ultimo aggiornamento: 1 aprile 2024