TAIZÉ

Un Ritratto

Madre Teresa (1910–1997)

 
Frère Roger ha scritto queste righe in omaggio a Madre Teresa in occasione della sua beatificazione nel 2003.

Viviamo in un mondo dove coabitano la luce e le tenebre. Con la sua vita, Madre Teresa invitava a scegliere la luce. È così che ha aperto un cammino di santità per molti altri. Madre Teresa ha reso accessibile quella parola che, quattro secoli dopo Cristo, scriveva sant’Agostino: «Ama e dillo con la tua vita». È innanzitutto quando è vissuta come fiducia in Dio che essa diventa credibile e si comunica.

Mi è stato fatto dono d’intrattenermi più volte con Madre Teresa. Era spesso possibile discernere in lei dei riflessi della santità di Cristo. Nell’estate 1976, fece una visita a Taizé. Arrivava dagli Stati Uniti. La nostra collina era piena di giovani di numerosi paesi. Per esprimere quello che abitava l’un l’altra, insieme abbiamo scritto una preghiera: «O Dio, Padre di ogni essere umano, tu chiedi a tutti di portare l’amore là dove i poveri sono umiliati, la riconciliazione là dove l’umanità è divisa, la gioia dove la Chiesa è scossa… Ci apri questo cammino affinché siamo fermento di comunione in tutta la famiglia umana».
Lo stesso anno, con qualche mio fratello, siamo andati a vivere per un periodo tra i più poveri a Calcutta. Alloggiavamo vicino alla sua casa, in un quartiere diseredato, rumoroso, pieno di bambini, la popolazione a maggioranza mussulmana. Eravamo accolti da una famiglia cristiana la cui casa si apriva su un incrocio di viuzze, con qualche piccola bottega e modesti laboratori. Madre Teresa veniva spesso a pregare con noi. Il pomeriggio, talvolta mi chiedeva d’accompagnarla a visitare dei lebbrosi che erano in attesa solo della morte. Cercava di rasserenare le loro inquietudini.

Talvolta prendeva iniziative spontanee. Un giorno, di ritorno da una visita ai lebbrosi, in macchina mi disse: «Ho una richiesta da farle. Mi dica di sì!» Prima di rispondere ho cercato di capire un po’ di più cosa voleva, ma ripeteva: «Mi dica di sì!». Alla fine si è spiegata: «Mi dica che d’ora innanzi porterà tutto il giorno la sua veste bianca, questo segno è necessario nelle situazioni della nostra epoca». Ho risposto: «Sì, ne parlerò ai miei fratelli e la porterò il più spesso possibile». Allora mi fece fare una veste dalle sue suore e ci tenne a cucirne una parte essa stessa.

Era particolarmente attenta ai bambini. Ci suggerì di andare tutte le mattine nella casa dove erano raccolti i bambini in fin di vita, con un fratello medico, e occuparci dei più malati. Sin dal primo giorno, scoprii una bambina di quattro mesi. Mi si diceva che non avrebbe avuto forze per resistere ai virus invernali. E Madre Teresa propose: «La porti a Taizé, avrà la possibilità di curarla».

Nell’aereo di ritorno, la piccola, chiamata Marie, non stava bene. Al nostro arrivo a Taizé, per la prima volta si mise a parlottare come un bebé felice. Le prime settimane, dormiva spesso in braccio mentre lavoravo. A poco a poco, ritornarono le sue forze. Allora andò a vivere in una casa vicino alla nostra. Mia sorella Geneviève, che anni prima aveva raccolto a Taizé dei bambini e li aveva cresciuti come se fossero i suoi, l’accoglieva in casa sua. Con il suo battesimo sono diventato suo padrino e nutro per lei l’amore di un padre.

Alcuni anni dopo, Madre Teresa ritornò a Taizé una domenica d’autunno. Con lei, durante la preghiera comune abbiamo espresso una preoccupazione che permane vera oggi: «A Calcutta ci sono luoghi visibili dove si muore, ma in tanti Paesi molti giovani si trovano in veri luoghi di morte invisibili. Sono segnati da spaccature, affetti infranti, o dall’inquietudine circa il loro avvenire. Situazioni di rottura hanno ferito in essi l’innocenza dell’infanzia o dell’adolescenza. In alcuni c’è il disincanto: a che serve esistere, la vita ha ancora un senso?».

Con due miei fratelli siamo andati a Calcutta per partecipare al suo funerale. Desideravamo ringraziare Dio per la sua vita donata e cantare con le sue suore nello spirito della lode. Vicino al suo corpo, mi ricordavo di tutto quello che avevamo in comune, in particolare questa certezza: una comunione in Dio ci stimola ad alleviare le sofferenze umane. Sì, quando rassereniamo le prove degli altri, è Cristo che incontriamo. È lui stesso che ce lo dice: «Ciò che fate ai più piccoli, è a me, il Cristo, che lo fate».

Ultimo aggiornamento: 26 giugno 2007