Sono trascorsi trenta anni da quando frère Roger soggiornò a Calcutta, insieme ad alcuni fratelli e dei giovani di diversi continenti, abitando in un quartiere povero e partecipando al lavoro di Madre Teresa per i bambini abbandonati e per i moribondi. Ritornò portando la Lettera al popolo di Dio, pubblicata durante un incontro di giovani a Notre-Dame di Parigi. Con Madre Teresa, scrisse poi diversi altri messaggi e tre libri.Quella presenza nel 1976 è stato il seme di una lunga relazione fra la nostra comunità ed i cristiani dell’India. Le visite fatte attraverso il paese, due incontri intercontinentali a Madras, l’arrivo costante di giovani indiani a Taizé, ne hanno segnato le tappe. E Calcutta ha continuato a rievocare in noi la disperazione umana, ma allo stesso tempo i volti di persone che là offrono la propria vita per i più poveri e diffondono una luce.Allora ho pensato che fosse importante ritornare a Calcutta e prepararvi un incontro. Dal 5 al 9 ottobre 2006 vi si sono riuniti 6000 giovani provenienti soprattutto dall’Asia. Si trattava di dare una nuova dimensione al « pellegrinaggio di fiducia », di accompagnare dei giovani asiatici stando a casa loro, di essere al loro ascolto, di sostenere la loro speranza. La Lettera da Calcutta è stata scritta a seguito di questo incontro, per essere pubblicata nell’occasione dell’incontro europeo di Zagabria.
Proseguendo il « pellegrinaggio di fiducia sulla terra » che riunisce giovani di numerosi paesi, comprendiamo sempre più profondamente questa realtà: tutti gli esseri umani costituiscono una sola famiglia e Dio abita ogni persona, senza alcuna eccezione.
In India, come altrove in Asia, abbiamo scoperto quanto la naturale attenzione verso la presenza di Dio in tutta la creazione implica un rispetto dell’altra persona e di ciò che per questa persona è sacro. Oggi, nelle società moderne, è così importante ravvivare questa attenzione a Dio e questo rispetto per l’uomo.
Ogni essere umano è sacro a Dio. Cristo ha aperto le braccia sulla croce per raccogliere tutta l’umanità in Dio. Se ci manda a trasmettere l’amore di Dio fino alle estremità della terra, è prima di tutto attraverso un dialogo di vita. Dio non ci mette mai sul piano di un rapporto di forza con coloro che non lo conoscono.
Molti giovani in tutte le parti del mondo sono pronti a rendere più visibile l’unità della famiglia umana. Lasciano che una domanda li lavori dentro: come resistere alle violenze, alle discriminazioni, come superare i muri dell’odio e della indifferenza? Questi muri esistono fra i popoli, fra i continenti, ma sono anche molto vicino a ciascuno di noi, fino nell’interiorità del cuore umano. Sta a noi fare una scelta: scegliere d’amare, scegliere la speranza.
I problemi immensi delle nostre società possono alimentare il disfattismo. Scegliendo d’amare scopriamo uno spazio di libertà per creare un avvenire per noi stessi e per coloro che ci sono affidati.
Con pochi mezzi, Dio ci rende creatori insieme a lui, anche dove le circostanze non sono favorevoli. Andare verso l’altro, talvolta a mani vuote, ascoltare, cercare di comprendere; e già una situazione bloccata può trasformarsi.
Dio ci aspetta dove ci sono persone più povere di noi. « Ciò che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. » [I]
Al nord come al sud, immense disuguaglianze alimentano la paura dell’avvenire. Certuni, con coraggio, consacrano le loro energie per modificare le strutture della ingiustizia.
Lasciamoci tutti interrogare dal nostro modo di vita. Semplifichiamo la nostra esistenza. E troveremo una disponibilità ed un’apertura di cuore per gli altri.
Esistono oggi molte iniziative di condivisione accessibili ad ognuno. Un commercio creativo e più equo o il micro credito hanno dimostrato che la crescita economica può andare di pari passo con la solidarietà verso i più poveri. Alcune persone fanno attenzione che una parte del loro denaro contribuisca a ristabilire una giustizia più ampia.
Affinché le nostre società acquistino un volto più umano, donare il nostro tempo è un gesto prezioso. Ciascuno può cercare di ascoltare o di sostenere anche una sola persona: un bambino trascurato, un giovane senza lavoro né speranza, qualcuno che è privo del necessario, una persona anziana.
Scegliere d’amare, scegliere la speranza. Perseverando su questo cammino, scopriamo con stupore che, prima di ogni nostro passo, Dio ci ha scelto, ha scelto ciascuna, ciascuno di noi: « Non temere, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Io sono il Signore tuo Dio, tu sei prezioso ai miei occhi, e io ti amo. » [II]
Nella preghiera ci poniamo, noi e coloro che ci sono affidati, sotto lo sguardo benevolo di Dio. Lui ci accoglie come siamo, con ciò che abbiamo di buono ma anche con le nostre contraddizioni interiori e persino con i nostri errori. Il Vangelo ce lo assicura: le nostre fragilità possono diventare una porta attraverso la quale lo Spirito Santo entra nella nostra vita.
Trenta anni fa, frère Roger scriveva a Calcutta : « La preghiera è per te una sorgente per amare. In una gratuità sconfinata, abbandonati con il corpo e con lo spirito. Ogni giorno medita qualche parola delle Scritture, per metterti di fronte ad un altro che non sia te stesso, il Risorto. Nel silenzio lascia nascere in te una parola vivente di Cristo per poi subito metterla in pratica. »
E lasciando Calcutta, aggiungeva:
« Ripartiamo dopo aver scoperto, nel cuore di profondi sconforti, la sorprendente vitalità di un popolo e dopo aver incontrato testimoni di un altro avvenire per tutti. Per contribuire a questo avvenire, il popolo di Dio ha una possibilità che gli è propria: sparso su tutta la terra, può costruire nella famiglia umana una parabola di condivisione. Questa parabola conterrà sufficiente forza per propagarsi fino a scuotere le strutture più inamovibili e creare una comunione nella famiglia umana.» [III]
Questo appello di frère Roger acquista oggi una nuova attualità. Sparsi in tutto il mondo, i cristiani possono sostenere una speranza per tutti vivendo questo messaggio straordinario: dopo la resurrezione di Cristo, la nostra umanità non è più frammentata.
Come essere testimoni di un Dio d’amore sulla terra se lasciamo perdurare le nostre separazioni tra cristiani? Osiamo camminare verso un’unità visibile! Quando ci voltiamo insieme verso Cristo, quando ci raduniamo in una preghiera comune, lo Spirito Santo già ci unisce. Umilmente, nella preghiera, impariamo incessantemente che apparteniamo gli uni agli altri. Avremo il coraggio di non agire più senza tener conto degli altri?
Più ci accostiamo a Cristo ed al suo Vangelo, più ci accostiamo gli uni agli altri.
Attraverso la reciproca accoglienza, avviene uno scambio di doni. L’insieme di questi doni è oggi necessario per far udire la voce del Vangelo. Coloro che hanno posto la loro fiducia in Cristo sono chiamati ad offrire la loro unità a tutti. E può risuonare la lode di Dio.
Allora si realizza la bella parabola del Vangelo: il piccolo granello di senape diventa la pianta più grande del giardino, al punto che gli uccelli del cielo vi costruiscono i loro nidi. [IV] Radicati in Cristo, scopriamo in noi una capacità di apertura verso tutti, anche verso coloro che non possono credere in lui o che restano indifferenti. Cristo si fa servitore di tutti, non umilia nessuno.
Più che mai, abbiamo oggi le possibilità di vivere una comunione al di là delle frontiere dei popoli. Dio ci dona il suo soffio, il suo Spirito. E noi lo preghiamo: « Guida i nostri passi sulla via della pace. » [V]
1 All’inizio del suo ministero, il papa Benedetto XVI ha scritto: « Tutti gli uomini appartengono ad un’unica e medesima famiglia. » (Messaggio per la giornata mondiale della pace 2006)
A Calcutta, i cristiani sono una minoranza fra le altre grandi religioni storiche. In India, alcune tensioni fra religioni hanno condotto a gravi violenze. Tuttavia, il mutuo rispetto costituisce l’essenziale delle relazioni fra credenti. Le feste di ogni tradizione sono rispettate dagli altri e possono così diventare occasione di condivisione.
2 Un giovane padre di famiglia libanese ci scriveva mentre i bombardamenti in Medio Oriente si intensificavano da una parte e dall’altra: « La pace del cuore è possibile! Quando si è stati umiliati, la tentazione è quella di voler a propria volta umiliare. Malgrado la sofferenza, malgrado l’odio che diventa sempre più forte, malgrado il desiderio di vendetta che sale in noi nei momenti di debolezza, io credo a questa pace. Sì, la pace qui ed ora! ».
3 Alcuni fratelli di Taizé vivono da trenta anni in Bangladesh, in mezzo ad una popolazione quasi interamente musulmana. Essi condividono quotidianamente la vita dei più poveri e dei più abbandonati. Uno di loro scrive: « Scopriamo sempre più che coloro che sono rifiutati dalla società a causa della loro debolezza e della loro apparente inutilità sono una presenza di Dio. Se li accogliamo, progressivamente ci conducono lontano da un mondo ipercompetitivo verso un mondo di comunione dei cuori. In una grande diversità di religioni e di culture, la nostra presenza in Bangladesh vuole essere il segno che il servizio verso i nostri fratelli e sorelle vulnerabili apre un cammino di pace e di unità. »
Ciò che Madre Teresa ha iniziato a Calcutta continua a diffondersi attraverso le sue sorelle. Le cure e l’amore portati ai più poveri sono segni così chiari dell’amore di Dio. E molte altre persone in tutto il mondo si impegnano su una stessa strada di solidarietà: senza di loro, dove saremmo su questa terra?
4 Le disuguaglianze provocano, presto o tardi, delle violenze. Il 20% della popolazione mondiale abitano i paesi più sviluppati e utilizzano l’80% delle risorse naturali della nostra terra. Una gestione responsabile delle fonti di energia e delle risorse d’acqua potabile diventa sempre più urgente.
5 In occasione del funerale di frère Roger, il priore della Grande Certosa, Marcellin Theeuwes, scriveva: « Le circostanze drammatiche della morte di frère Roger non sono altro che un rivestimento esteriore che serve a mettere ancora più in luce la sua vulnerabilità, che lui ha coltivato come una porta per la quale, di preferenza, Dio può entrare in noi. » (Vedi anche 2 Corinti 12, 10.)
6 Un cristiano del IV secolo esprime bene come la preghiera e l’impegno siano complementari. Per lui, partecipare all’Eucaristia spinge verso la solidarietà con i poveri: « Vuoi onorare il corpo del Salvatore? Colui che ha detto: Questo è il mio corpo, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare. Ciò che non avete fatto ad uno dei più umili, lo avete rifiutato a me! Onora dunque il Cristo condividendo i tuoi beni con i poveri. » (San Giovanni Crisostomo, Omelia 50 su Matteo.)
7 Già i cristiani della prima generazione, una piccolissima minoranza nel mondo, avevano questa certezza: Cristo ha distrutto il muro che separava i popoli donando la sua vita sulla croce. (Vedi Efesini 2, 14-16.)
8 Un cristiano vissuto in Palestina nel IV secolo scriveva: « Immaginate che il mondo sia un cerchio, che al centro sia Dio, e che i raggi siano le differenti maniere di vivere degli uomini. Quando coloro che, desiderando avvicinarsi a Dio, camminano verso il centro del cerchio, essi si avvicinano anche gli uni agli altri oltre che verso Dio. Più si avvicinano a Dio, più si avvicinano gli uni agli altri. E più si avvicinano gli uni agli altri, più si avvicinano a Dio. » (Doroteo di Gaza, Istruzioni VI)
9 « Il rapporto della chiesa con le altre religioni è dettato da un duplice rispetto: Rispetto per l’uomo nella sua ricerca di risposte alle domande più profonde della vita e rispetto per l’azione dello Spirito nell’uomo. (…) Ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo » (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio.)
Come cristiani, non possiamo dimenticare che al cuore della nostra fede c’è Gesù Cristo, che ci lega in modo del tutto unico a Dio. (Vedi 1 Timoteo 2, 5.) Ma, lungi da impedirci un vero dialogo, questo assoluto ci impegna, perché se Gesù è unico, lo è per la sua umiltà. Per questo non potremo mai, nel suo nome, trattare gli altri dall’alto in basso, ma solamente accoglierli e lasciarci accogliere da loro.
10 Su questo cammino, Dietrich Bonhoeffer è fra coloro che possono sostenerci, lui che, nelle ore più buie del XX secolo, ha dato la propria vita fino al martirio. Solo qualche mese prima della sua morte, scriveva, nella sua prigione, queste parole che cantiamo ormai a Taizé:
“Dio, raccogli i miei pensieri verso te.
Presso di te la luce, tu non mi dimentichi.
Presso di te il sostegno, presso di te la pazienza.
Non capisco le tue vie,
Ma tu conosci il cammino per me.”